Nel 1982 san Giovanni Paolo II lanciava da Santiago de Compostela un “grido d’amore all’antica Europa”, esclamando: “ritrova te stessa! Sii te stessa, riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima pieno di rispetto verso le varie religioni. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo”.
Oggi, a distanza di quasi quarant’anni, l’eco di quelle parole rimbomba, più che mai urgente e attuale, in un’Europa vuota, smarrita e svilita. Un’Europa che se vuole ritrovare sé stessa non può non affrontare una questione fondamentale: il rapporto con il cristianesimo riscoprendone le radici spirituali, una eredità anche culturale e valoriale a cui sembra abbia inteso rinunciarvi senza valide ragioni e senza alcun progetto se non la mera tecnocrazia.
L’orientamento verso la rinuncia delle radici cristiane e della dimensione spirituale, percepibile fin dai primi passi della costruzione dell’Unione e palesata nel progetto di Costituzione Europea, poi non approvata, è proseguita negli anni fino ai nostri giorni, quando si accetta pacificamente la mutilazione di ogni riferimento alle radici comuni fra paesi e popoli. Perfino i cristiani sembrano aver smesso di occuparsi di una questione che è invece cruciale nella costruzione di un futuro per l’Unione.
Il vecchio continente sembra diviso, come affermava papa Benedetto XVI, in due anime. La prima anima “è una ragione astratta, antistorica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a sé stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità”. La seconda anima è invece “quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana.”
In questa divisione è oggi evidentemente dominante l’anima “della ragione astratta” che ha tentato di fornire un’impronta neoliberista e liberal all’Europa. Un indirizzo ideologico che considera l’istituzione UE come un dogma laico, irrinunciabile e indiscutibile, che ruota intorno ed è indirizzato dalle regole del mercato, ove i diritti dell’uomo, sviliti nella loro essenza, sono il mezzo per la libertà assoluta. L’altra anima, oggi polimorfa, è scontenta di questa Europa e cerca una via per tutti che non sia una mera reazione. Si tratta però di una reazione che ancora non trova una sintesi né una visione autorevole, con il malcontento spesso incanalato in movimenti che affrontano la questione Europa superficialmente, senza capacità di proporsi unitariamente con la forza di idee di elevata caratura.
Vista questa situazione, può apparire fuori dal tempo e contrario ai costumi del momento sperare in una riscoperta delle proprie origini ed un ritorno alle proprie radici. Proprio a causa della paura per l’irreversibilità della direzione intrapresa dalla nostra Europa, la tentazione di rinuncia può esser forte, e sembra inutile cimentarsi in una battaglia persa in partenza. È invece impossibile rinunciarvi e deve essere compito dei cristiani porre al centro del dibattito la questione e non permettere che essa cada nel dimenticatoio. Bisogna evitare il vizio storico dell’oblio. È la storia a insegnarci che le tendenze del presente non sono irreversibili, e bisogna essere consapevoli che, per usare le parole di Chesterton, “Il cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte, ma alla fine è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dal sepolcro”. Bisogna dunque guardare all’attuale rapporto tra Europa e cristianesimo con preoccupazione, ma mai con spirito arrendevole. Questo perché il contributo che il cristianesimo può portare ad un’Europa da ripensare e da ricostruire, cosa su cui (almeno a parole) concordano tutti al di là delle sensibilità, è certamente molto importante. Importante soprattutto per evitare che l’Europa sia mostruosa per sé stessa, informe, senza una coerenza di fondo. Per cambiarla non si può pensare di modificare qualche numero vincolante dei trattati, ma bisogna ripartire dalle radici, dall’identità culturale a cui si è rinunciato misconoscendo l’evidenza storica. Quell’identità che Benedetto XVI evidenziò di fronte al Parlamento tedesco come “nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma”, sottolineando come “Questo triplice incontro formi l’intima identità dell’Europa”.
È proprio dallo sviluppo di queste radici che la nostra Europa deve ripartire. Per pensare ad un nuovo corso non ci si può privare di tale patrimonio che può contribuire in tutti i campi a indirizzare la vita politica economica e sociale dell’Unione. Può esser importante per dettare i criteri di “bene comune” che si riflettono nell’economia e nelle decisioni politiche di sistema e sono decisivi in una comunità. Può contribuire a dare un senso al concetto stesso di comunità e alla solidarietà interna ad essa, importante per mettere al centro, sostenere e difendere la famiglia, primo nucleo della società. Può, soprattutto, dare un concreto e autentico senso a quel concetto di dignità umana, attualmente svilito e distorto in un’idea di libertà estrema che rende ogni desiderio un diritto.
Dunque non vi sono ricette per rispondere al quesito “che fare?”. Bisogna però, ad ogni livello, interrogarsi e porre la questione, elaborare idee e sviluppare una visione, evitando di far cadere nell’oblio quel decisivo rapporto tra cristianesimo ed Europa, con la consapevolezza che vi saranno resistenze, ma con la speranza, la stessa di Benedetto XVI, che si possa trovare nel dialogo ecumenico tra le anime cristiane (Chiesa cattolica, ortodossa e protestante) un’espressione comune che deve poi incontrarsi con quella razionale, facendo sì che la vecchia Europa possa essere ancora “faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo”.
di Giovanni Mocci
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