Vinculum amicitiae

Preparando il domani

Cari Amici,

con questa prima Newsletter si cerca di mantenere un legame di amicizia nei tempi in cui non ci vediamo o in cui non possiamo vederci. Ne approfitto per raggiungervi con qualche riflessione.

In queste settimane siamo in una clausura forzata, secondo le norme governative per rispondere all’epidemia causata dal Covid-19. Nella perdita temporanea di tante libertà personali, vi è anche la grande perdita della relazione personale, che solo superficialmente può essere sostituita da quella virtuale dei social. Ciò ha toccato anche la possibilità della celebrazione eucaristica e della ricezione della santa comunione e degli altri sacramenti.

Sentiamo slogan molto banali in giro, il più inflazionato è “Andrà tutto bene”, accompagnato da improbabili arcobaleni. Tali espressioni non sono solo banali, ma anche fastidiose per chi ha perso qualcuno di caro in questa pandemia, per chi ha perso lavoro o per chi potrà tutelare di meno i propri cari per le mutate situazioni economiche. In più non sono per niente consolatorie, neanche per chi si sacrifica in prima linea con autentica donazione (medici, infermieri, forze dell’ordine, sacerdoti…). Possiamo solo immaginare i grandi problemi sociali che dovremo affrontare. Non va e non andrà tutto bene. Prepariamoci a trovare risposte creative e tecniche, adeguate alla realtà e a coltivare questi luoghi, anche interiori, in cui ciò sarà possibile.

Siamo in un tempo di prova, a volte surreale, con nipoti che non possono baciare i nonni per non essere vettori di male. Dove amare significa stare lontani. Un tempo surreale con un Parlamento che non si riunisce come dovrebbe e il Palazzo del potere che sembra girare a vuoto. C’è allora più bisogno di chi sappia pensare veramente a tutti, pronto a sacrificarsi per il bene comune (senza farlo diventare un altro slogan banale, urlato continuamente, quanto disatteso).

Siamo in un tempo di prova con una chiesa svuotata di fedeli, con l’effetto del passaggio da un cattolicesimo che si è sempre fatto vanto del suo essere comunitario e di popolo ad un cattolicesimo di streaming o in differita, che posso vedere nell’orario più comodo (non necessariamente però con patatine e popcorn). L’esito sarà duplice: avremo battezzati ancora più individualisti, avremo battezzati desiderosi di rivivere l’esperienza del camminare insieme. Comunque ci sarà un’ulteriore evoluzione del cattolicesimo, che toccherà anche la considerazione dei sacramenti (sperando nell’avvio di una significativa teologia sacramentale) e le modalità dello stare insieme.

In questo tempo non sono mancati momenti prolungati di spaesamento e di confusione. Di sicuro questi giorni ci stanno facendo vivere l’esperienza dell’essenzialità, della spoliazione e della precarietà. Siamo fragili. Semplicemente. In più, fragili che non sempre abbiamo padri a sostenerci. La nostra societas, al di là di tutte le aggettivazioni possibili, non ha padri, leader di riferimento, persone solide, a guidare e interpretare saggiamente. A questo punto appaiono ancora più vere le parole bibliche: «maledetto l’uomo che confida nell’uomo… benedetto l’uomo che confida in Dio». Nella dovuta estensione testuale:

“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
che pone nella carne il suo sostegno
e dal Signore si allontana il suo cuore.
6 Egli sarà come un tamerisco nella steppa,
quando viene il bene non lo vede;
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
7 Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è sua fiducia.
8 Egli è come un albero piantato lungo l’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell’anno della siccità non intristisce,
non smette di produrre i suoi frutti.”
(Ger 17,5-8)

L’uomo è questo. Ha bisogno di porre la fiducia in qualcosa/qualcuno più grande di lui. Non può farne a meno. Deve solo capire a chi rivolgersi, per non illudersi. L’esperienza dell’uomo credente è quella di essere sicuro di confidare in Dio. Con gli altri uomini camminiamo, collaboriamo, ci fidiamo pure gli uni degli altri (pronti anche alle delusioni), ma solo in Dio c’è la pienezza della fiducia che non inganna mai. Solo a partire da Dio si ricostruisce sanamente una comunità, accettando la fallibilità dell’altro e avviando tutele a beneficio di tutti, senza ideologie, opportunismi e mortificazioni. La fede o, secondo un linguaggio sociale, la religione è nuovamente concepita nel suo ruolo di architrave dell’ordine e della pace internazionali, perché è in grado di creare legami forti, ponti tra gli uomini. Nonostante alcune narrazioni occidentali, siamo nel tempo della religione, della de-secolarizzazione della società (anche in Italia le preghiere in TV in queste settimane hanno raggiunto un ragguardevole 13% di auditel), tanto che alcuni studiosi parlano di un XXI secolo come il “secolo di Dio”. Per questo da anni c’è chi cerca di condizionare i percorsi religiosi a livello internazionale per piegare le religioni ad agende politiche di parte. Le culture religiose, infatti, non sono per niente superate. Esse alimentano e condizionano i comportamenti individuali e collettivi e pertanto sono determinanti per la diffusione o meno di concezioni morali, giuridiche, sociali, politiche in senso ampio. La sfida del cattolicesimo è come rispondere autonomamente a questa evoluzione sociale e culturale, superando il ritardo rispetto ad un più intraprendente evangelismo, senza neppure rimanere travolti dalle macerie del secolarismo.

L’esperienza del confinamento di queste settimane, di fronte al dolore altrui, alle loro sofferenze, di fronte al nostro limite, può essere trasformata come tempo prolungato di ritiro per andare a fondo. È occasione unica per prendere un tempo per sé, per leggere (studiare per sapere), pregare (meditazione biblica, rosario, liturgia delle ore, preghiera del cuore… messa in streaming (!): la preghiera è incontro con Dio, ascolto di Dio… la preghiera fatta con fede protegge il mondo, non solo lo trasforma ma lo preserva da tanti mali), pensare (rimanendo fedeli alla realtà), essere critici (esattamente un «segno di contraddizione», Lc 2,34), per tenere fissi lo sguardo, la mente e il cuore a ciò che è essenziale e centrale: Cristo, quale criterio di giudizio. Finito questo tempo, ci addoloreremo per i morti e faremo nuove scelte. Il Paese e la Chiesa avranno bisogno di persone strutturate (cioè persone complete, integrali da tutti i punti di vista) per riavviare le diverse societas su basi e prospettive solide, cioè pensate, meditate, pregate e condivise. Ci vuole un movimento dalla base capace di contaminare nel bene i diversi ambienti. Oltre la vuota retorica. Oltre le posizioni acquisite di potere.

Prepariamoci a individuare percorsi di bene. Anche dopo la peste nera del Trecento (quella descritta da Boccaccio nel Decamerone e arrivata sempre dalla Cina, che comportò la morte di un terzo degli europei e del 65% dei cinesi) si ripartì con forza e determinazione. Ad esempio si rinnovò la medicina. Ma non solo. Ci furono diversi rinnovamenti sociali, come l’apertura di mondi fino ad allora chiusi (le corporazioni dovettero aprirsi a nuovi ingressi, a nuovi artigiani e professionisti), con una mobilità fino ad allora impensata. Quelle morti comportarono una reazione tra i vivi: più meccanicizzazione a fronte di meno manodopera, stipendi più alti a fronte di meno lavoratori, nuove tecniche per le armi e per la diffusione della scrittura. Ci fu un aumento generalizzato di benessere. Dopo le diverse pesti del Seicento (come quella dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni) e del primo Settecento, si reagì ancora sul piano della cultura (illuminismo) e della tecnica (rivoluzione industriale). Le reazioni a volte furono anche piuttosto ingenue, perché abbagliate dalla fiducia inconsistente nel progresso, tipica di una società poco radicata. Fiducia che viene sfatata ogni volta che ci si confronta con la storia e la durezza del cuore dell’uomo (ad esempio, la tecnica degli inizi del Novecento servì per uccidere di più e meglio al tempo della Prima Guerra Mondiale: calò il sipario sulla belle époque).

Per quel che capiamo oggi non ci sarà quella strage del passato. Non si sa se si creeranno nuovi posti di lavoro. Probabilmente no, perché la prospettiva da anni è quella della riduzione. Sicuramente si penseranno nuovi modi lavorare (uno smart working più adeguato agli obiettivi e alle modalità, ma non solo… anche sulla scia di ciò che già esiste oggi: Google in Giappone ha sperimentato con successo aziendale la settimana di lavoro di soli 4 giorni). Questo tempo aiuterà i capaci intraprendenti a proporre nuovi percorsi, a coalizzarsi, per progettare e pensare insieme sistemi sociali, economici, finanziari e politici adeguati alla realtà, individuare risposte spirituali che non siano come i marshmallow, cioè morbide e zuccherose fuori, quanto vuote dentro. E chissà quali progressi per la tecnica. Progettare il futuro, ma facendosi carico delle morti, delle sofferenze, senza banalizzare, senza neanche cadere nell’ingenuo ottimismo del progresso che guarda avanti senza prendere su di sé ciò che precede. Avendo a centro il progetto di Dio, che si fa carico di ogni uomo, debole incluso. Questa sarà la modalità e pure l’orizzonte del contributo dei credenti, che dovranno essere in grado di declinarlo secondo le diverse scienze e competenze. Senza uomini soli, senza supereroi, senza trasgressioni, avendo chiara la misura del progresso che è data dal debole. La prospettiva per superare la crisi passerà per dare il giusto valore ai legami con gli altri, all’amicizia, al lavorare insieme. Superando le solitudini che vediamo oggi: un mondo interconnesso (ma neanche tanto per gli anziani), ma non in relazione, un mondo di soli, un pericolo per le democrazie liberali e per le loro evoluzioni.

Il vostro studio disciplinato, la vostra visione critica, l’umiltà e la gioia di essere comunità, la vostra preghiera personale e comunitaria, i vostri sacrifici, le vostre rinunce, i vostri desideri di bene e il vostro cercarvi per costruire sono benedetti dal Signore, perché possiate portare frutto. Potete e dovete essere una benedizione, anticipando il futuro nei vostri progetti di bene. Vi lascio con un riferimento del nostro amato san John Henry Newman: «Quando una moltitudine di giovani, acuti, di mente aperta, capaci di sintesi ed osservatori, come sono i giovani, si trovano insieme e si frequentano liberamente l’un l’altro, anche se non c’è nessuno che insegni loro; la conversazione di tutti è una serie di lezioni per ognuno». Aspetto di ricevere anch’io questa lezione.

Una benedizione a tutti e a ciascuno di voi,
don Roberto

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