E’ tornata al centro del dibattito pubblico la politica, sebbene stanca ed affaticata. Ma neanche un forte dal punto di vista numerico promuove un dibattito pubblico-politico.
Questa difficoltà nell’intessere una relazione sana con la cittadinanza può essere affrontata tramite il riaffermarsi nella classe dirigente di alcune virtù come la saggezza e la giustizia, già ritenute indispensabili durante l’Atene di Clistene nel V secolo avanti Cristo. Consapevolezza che si ritrova, agli albori del ‘900, in Alcide De Gasperi, secondo il quale la politica è innanzitutto il desiderio di giustizia. Questa tetragona convinzione emerge dalla sua esperienza di deputato a Vienna e poi come prigioniero durante il regime fascista. Proprio dal carcere, lo statista scrive un’accorata lettera-manifesto alla cara moglie Francesca, nella quale chiarisce come per lui la politica desiderosa di giustizia sia – e debba essere- una vocazione.
Max Weber parlava di politica come professione. E non c’è dicotomia La dicotomia tra vocazione e professione, L’articolo 54 della Costituzione impone che la politica o meglio chi la rappresenta svolga le sue funzioni, la sua professione con disciplina ed onore.
La politica non è “l’arte del compromesso”, ma una intelligente e illuminata sintesi delle istanze presenti nella popolazione, complessa da ottenere perché la politica non deve ergersi ad élite deve trovare nel popolo una dimora dalla quale estrarre risposte che influiscono anche sulle generazioni future. La bussola per non perdersi in questo mare magnum di decisioni è l’onestà. Di onestà parla un giovane Fanfani nel suo saggio “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo” per spiegare l’attitudine del cattolico nel prendere quelle decisioni economiche che tanto contribuivano a mutare la società. Una onestà capace non solo di far apparire il politico come una guida ma, financo, in grado di restituire alla politica tutta un ruolo che da tempo questa ha perduto.
Negli ultimi decenni,la finanza ha sostituito la politica, anzi l’ha relegata ad una posizione di quasi ininfluenza. Per colpa della politica spesso sorda alle istanze della comunità ed arroccata nei palazzi. Una politica che volta le spalle ai giovani ed ignora l’esperienza degli anziani; una politica che ha dismesso gli strumenti della formazione (si pensi alle scuole di partito) e ha imbracciato le armi degli slogan roboanti e subitanei, sovente violenti.
Nel post-Covid, v’è sicuramente necessità di riformare il Paese. Ma la madre di tutte queste indispensabili riforme è quella della politica. A quest’ultima è richiesto di riavvicinarsi alla comunità, di trovare in essa quella creatività che genera risposte di sintesi, di restituire i luoghi di aggregazione culturale per pensare insieme il futuro. Solo quando la politica diverrà di nuovo “una missione” e non una giocosa “escursione”, potremmo dirci sicuri di affrontare nel migliore dei modi le sfide contingenti e future.
di Gianpaolo Plini
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